Introversione, Introfada e hikikomori

C'è questo manifesto scritto da Hamja Ahsan. Si intitola Introfada: Lotta antisistema del militante introverso. Utilizza in chiave ironica i vari linguaggi dell'attivismo militante per denunciare la condizione di oppressione in cui le persone introverse si trovano a vivere oggi. Secondo l'autore le società contemporanee (in Occidente ma non solo) sono permeate in tutti i loro aspetti (dalla vita lavorativa a quella relazionale, dalle istituzioni all'industria culturale) da una forma di Suprematismo Estroverso. Il modo di vivere degli estroversi è quello dominante e viene imposto anche a chi estroverso non è, che gli piaccia o no. Le conseguenze sarebbero tutta una serie di disagi, umiliazioni, microtraumi e piccole grandi sconfitte della vita quotidiana.

Il libro è molto carino, brillante e divertente. Chiunque si identifichi come introverso non potrà che provare empatia nei confronti dell'autore e dei vari personaggi. Finalmente la stigmatizzazione dell'introversione assume una connotazione politica. Finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di violare uno dei più grandi tabù della società connessionista: dire che si può vivere bene anche nel silenzio e nella solitudine.

Tutto il discorso di Ahsan è impostato sull'opposizione dicotomica tra introverso ed estroverso. E' la teoria che Jung espone nel saggio Tipi psicologici, rielaborata in chiave militante e utilizzata per descrivere le varie figure che oggi incarnano l'introversione: nerd, autistici, hikikomori, solitari, emarginati e disadattati di vario genere.

Ma quali sono le implicazioni della teoria junghiana? E' possibile utilizzarla come strumento di denuncia sociale o tende a rivelarsi più un ostacolo?

In questo articolo cercheremo di decostruire l'impianto junghiano e proveremo a superarlo reinterpretando il fenomeno dell'introversione in chiave storico-materialista. Proveremo a dare una lettura alternativa del fenomeno hikikomori e infine ci riallacceremo al discorso di Ahsan, rispondendogli con un anti-manifesto.

Una teoria materialista dell'introversione

Non si riesce a comprendere cosa sia il carattere finché lo si continua a considerare come una proprietà intrinseca dell'individuo.

Il carattere è un fatto situazionale. Non è l'individuo a porsi attivamente in un certo modo. È la situazione che porta l'individuo a porsi in un certo modo verso l'esterno. Una situazione non si riduce ad una relazione tra persone. Le consuetudini, le convenzioni, i rapporti di forza, gli spazi di possibilità, fanno sì che una persona si comporti in un certo modo quando è assieme ad altre persone in una certa situazione. Come spiegare altrimenti il fatto che la stessa persona possa apparire chiusa e taciturna in un contesto e aperta ed espansiva in un altro, anche a breve distanza temporale?

Per capire come mai le persone si comportano in un certo modo non bisogna pensarle in astratto, ma inserite all'interno di una rete di rapporti. Serve, insomma, uno sguardo sulla società.

Fino a prima di Wilhelm Reich gli psicoanalisti sono sempre stati pessimi osservatori della realtà sociale. Quando la psicoanalisi incontra il marxismo si comincia a intravvedere la luce: il disagio psichico viene interpretato come prodotto del sistema economico. Il problema è che Marx e Freud non sono due autori compatibili. La teoria marxiana è una teoria materialista, nel senso che spiega i fatti sociali a partire dalle condizioni materiali vigenti in un certo periodo storico. La teoria freudiana invece spiega i fenomeni su base pulsionale (nella prima formulazione c'è solo la pulsione sessuale, nella seconda Freud introduce il dualismo Eros/Thanatos). In tutte le analisi degli autori cosiddetti freudo-marxisti (lo stesso Reich e Marcuse su tutti) la componente freudiana continua a depotenziare quella marxiana. Si tenta un parallelismo tra due autori incompatibili che non porta da nessuna parte. La pratica psicoanalitica è piena di elementi trascendenti (interpretazione di sogni, lapsus, gesti mancati), di forme di misticismo con pretese di scientificità, di rimandi ad un altrove. Lo psicoanalista-interprete-di-segnali è la reincarnazione più recente della figura del prete. Per superare il limite di questo approccio bisognerà elaborare una teoria materialista dell'inconscio: sarà il compito della schizoanalisi.

Come fanno notare Deleuze e Guattari ne L'anti-Edipo, Jung crede di essersi liberato della teoria pulsionale (libido), ma in realtà la ripropone sotto mentite spoglie. Da una prospettiva materialista, interpretare i fenomeni su base energetica non è poi tanto diverso che interpretarli su base pulsionale. Il problema di fondo della tipizzazione junghiana è che i due orientamenti base (estroverso e introverso) vengono presentati come componenti innate e universali della psiche umana. L'estroverso orienta l'energia verso gli oggetti esterni. Predilige l'azione, la relazione, la compagnia, l'esperienza diretta, la frenesia. L'introverso invece orienta l'energia all'interno del Sé. Predilige la solitudine, la tranquillità, la riflessione, la contemplazione, le passeggiate nei boschi, la lettura e le velleità artistiche. Uno dei due orientamenti sarebbe prevalente nel bambino fin dalla nascita.

Ma proviamo ad osservare questo impianto teorico da una prospettiva materialista. Cosa viene occultato? Quali sono le robinsonate della tipizzazione junghiana?

Avere spazi di raccoglimento, fare passeggiate nei boschi, chiudersi in una stanza in solitudine, isolarsi dal mondo, ecc... sono tutte attività (o inattività) che implicano dei presupposti. Il fiorire della vita interiore, la contemplazione e l'isolamento presuppongono tutta una serie di condizioni materiali esterne: pareti spesse, serrature, spazi privati, possibilità di passare del tempo da soli, potersi permettere di limitare a piacere le interazioni con gli altri, avere accesso facile al sapere, alla cultura e alle belle arti... E' chiaro che queste condizioni materiali non sono universali ma storicamente determinate: sono un prodotto della società borghese.

Nella teoria junghiana i due orientamenti pre-esistono all'assetto sociale. Pare che l'estroverso e l'introverso fluttuino in uno spazio astratto composto dalla loro soggettività e da relazioni a loro volta astratte e prive di una dimensione storica. Sono due figure senza posizione sociale, stato economico, aspetto fisico, etnia di appartenenza...

L'introversione, per come la descrive Jung, è un fenomeno da classe media. La vita interiore dell'introverso è organizzata dalle condizioni esterne della vita moderna ed è possibile solo grazie ad esse. Allo stadio di sviluppo della tecnologia e della rete di trasporti attuale, poi, l'introversione è organizzata in modi che un borghese degli anni 20 del secolo scorso non avrebbe mai potuto immaginare. Oggi è possibile lavorare da casa in solitudine, farsi consegnare spesa, cibo, libri e quant'altro, guardare in streaming o scaricare serie e film. La vita interiore è scandita da una nuova serie di ritmi. Non esiste, in sintesi, un fenomeno universale chiamato introversione.

In realtà non esiste una separazione netta tra fenomeno psichico e fenomeno sociale. Non è ben chiaro se questa cosa che chiamiamo psiche abbia dei confini ben delimitati e se ci siano veramente un interno ed un esterno (se non come apparenza o come costruzione identitaria). Jung pretende di costruire una teoria universale, ma si muove all'interno di una cornice concettuale che ha al massimo qualche centinaio di anni ed è chiaramente un prodotto della cultura occidentale. L'estroverso junghiano è, sostanzialmente, il soggetto empirista che osserva e interagisce col mondo esterno. L'introverso è il soggetto cartesiano che predilige l'astrazione e il mondo delle idee, dirigendo la sua attenzione verso i fenomeni interiori. Ma che questa barriera tra interno ed esterno (il Sé) sia un concetto universale e sia presente fin dalla nascita è in realtà molto dubbio. Il bambino appena nato si percepisce come unità e come alterità rispetto al mondo? Durante l'allattamento il bambino pensa già la sua bocca come entità altra rispetto al seno della madre? C'è già da subito un Io (bambino) contrapposto ad un Altro (madre/mondo)?

La teoria junghiana interpreta i fenomeni relazionali su base energetica. Ma questa fantomatica energia psichica esiste veramente? O è una forma di misticismo che stende un velo sulla realtà sociale e impedisce di comprendere l'essenza dei fenomeni?

Prendiamo una situazione tipica che è fonte di disagio nella vita di qualunque introverso: la festa.

Se interpretiamo l'evento della festa in chiave energetica diremo che durante le situazioni sociali all'introverso si scaricano le batterie in fretta. La sua energia psichica è drenata dall'eccesso di relazioni esterne, pertanto sente il bisogno di ricaricarsi in solitudine.

Se invece interpretiamo l'evento in chiave materiale diremo che il disagio è causato da fattori come il confronto con gli altri (esempio: provare invidia guardando qualcuno che si diverte, che socializza, che flirta...), il senso di non appartenenza al contesto, il fatto di non voler essere lì in quel momento ma non avere la forza di andare oltre le convenzioni sociali e il nichilismo di fondo del divertimento imposto a tutti i costi, il fatto di non conoscere nessuno, fattori ambientali come la musica, l'architettura e l'arredamento del locale che risultano non di proprio gradimento.

Secondo Jung il modo di sentire estroverso è quello dominante perché nel suo tempo la filosofia empirista è quella che va di moda. Ancora oggi, nell'immaginario comune, permangono residui di questa mentalità: la persona titolata a parlare delle cose è la persona vissuta, quella che ha provato direttamente, che ha sperimentato, sentito, che capisce perché ci è passata. Alla comprensione dei fenomeni tramite ragionamento viene attribuito poco valore. Ahsan, nel suo manifesto, rielabora il discorso sotto forma di denuncia: l'estroverso è la persona che tiene in moto il sistema economico, che spende, che consuma, che viaggia, che ostenta, che fa la bella vita, che deturpa il mondo con la sua frivolezza e la sua superficialità. Vari fenomeni sociali come la relazionalità forzata, il divertimento imposto, la mercificazione della cultura, fino ad arrivare alla devastazione ambientale, sono riletti attraverso le lenti junghiane.

A differenza di Jung, però, Ahsan non li interpreta mai in chiave energetica. Rappresenta senza dubbio un passo avanti rispetto alla teoria originaria. Ma anche in questa forma rielaborata le categorie junghiane mostrano presto i loro limiti. In Introfada tutti i personaggi introversi subiscono soprusi per il fatto di essere silenziosi. Mai nessuno per il fatto di essere debole, impopolare, avere un viso o un aspetto fisico non conforme, non inserito nei giri giusti, perché non ha i vestiti o i giochi giusti, per come cammina, per come parla... Il bullismo viene ricondotto ad una dimensione squisitamente caratteriale. Ma anche la patologizzazione del silenzio ha tutta una sua materialità e una sua dimensione relazionale. Chiedere a qualcuno "ma perché non dici mai niente?" o "perché non parli? C'è qualcosa che non va?" rimarca la posizione sociale di chi fa le domande, palesando un rapporto di forza: è un modo di sottomettere l'interlocutore sfruttando la scusa dell'introversione.

Viene da chiedersi perché da un lato Ahsan critichi la patologizzazione della solitudine e della timidezza, ma dall'altro tenda ad accettare senza riserve la tipizzazione junghiana, come se quest'ultima fosse in qualche modo estranea all'industria terapeutica [1].

#DECONSTRUCTBEDROOM

Ahsan interpreta il fenomeno hikikomori come una forma di resistenza introversa. Da una cameretta qualunque viene lanciato un comunicato che denuncia (con il solito tono ironico) la strumentalizzazione mediatica del fenomeno, nonché l'industria della medicalizzazione che vi si è creata attorno. Il ritiro sociale è una forma di rivoluzione passiva. Consiste nel rigettare il sistema di valori borghese mediante assenza di ambizioni e aspettative.

Ma gli hikikomori hanno veramente un qualche potenziale sovversivo? Quali sono le condizioni per cui è possibile la comparsa del soggetto hikikomori?

Nel dibattito contemporaneo viene data una spiegazione di stampo psicosociale. I fattori che causano il ritiro sociale sarebbero: pressione eccessiva dovuta alle aspettative dei genitori, competizione esasperata dal sistema scolastico, aver subito varie forme di bullismo, percezione che il sistema lavorativo non garantisca più stabilità (e pertanto non valga più la pena di impegnarsi), provenienza da una famiglia di ceto medio (o comunque benestante), appartenenza (nel 90% dei casi) al genere maschile.

Se l'analisi dei fattori ambientali risulta convincente, lo è un po' meno il fatto che la condizione di ritirato sociale venga interpretata come il frutto di una scelta: l'isolamento avverrebbe su base volontaria. Il problema è che in questo modo l'attenzione viene spostata sull'individuo. Proviamo invece a dare una lettura alternativa del fenomeno, mostrando che la comparsa degli hikikomori è un fatto sociale inevitabile e connaturato allo stadio di sviluppo attuale del capitalismo. Non è infatti un caso che il fenomeno cominci ad essere registrato in Giappone a partire dalla metà degli anni '80.

Partiamo dal fatto che in qualsiasi competizione è fisiologico che ci siano vincitori e sconfitti. Il ruolo del perdente è funzionale alla competizione tanto quanto quello del vincente. Se manca uno dei due, anche l'altro perde di senso. Chiunque nasca nelle società neoliberali odierne viene bombardato dall'idea che il successo e la realizzazione (professionale, ma non solo) dipendano dalla volontà, dall'impegno e dalla determinazione. Il successo è concepito sostanzialmente come un fatto individuale. Ma siccome in un sistema gerarchico i posti in cima alla piramide sono limitati, non tutti potranno avere successo. La società neoliberale è quindi intrinsecamente guasta: crea delle aspettative che non è in grado di mantenere. Solo alcuni ce la faranno. E gli altri? Chiunque non riuscirà a realizzarsi, chiunque sentirà di non avere possibilità, chiunque non reggerà la pressione, chiunque non otterrà il riconoscimento in una o più fasi della competizione (ad esempio per non aver ottenuto voti alti a scuola o all'università, una posizione lavorativa importante o per aver subito forme di bullismo), non essendo generalmente consapevole delle storture sociali menzionate (poiché la sua soggettività è a sua volta un prodotto della società neoliberale), si troverà a dover gestire un qualche tipo di scompenso interiore.

Le persone che vengono identificate come hikikomori, per un motivo o per l'altro, fanno parte dalla categoria degli sconfitti della competizione capitalista. Non si tratta di una forma di ribellione o di protesta, ma di una forma di resistenza. Il ritiro sociale è un modo di proteggersi dal confronto con gli altri (sia in termini di scontro fisico e verbale, sia in termini di status). Contrariamente ai luoghi comuni (perpetuati anche da una certa critica sociale) basati su una concezione semplicistica che riduce i rapporti umani ad uno schema del tipo "relazioni=bene, solitudine=male", per cui a causa del progresso tecnologico e della diffusione di internet le persone stanno diventando sempre più sole, l'isolamento si rivela una strategia intelligente (almeno a breve termine) per proteggersi, ridurre la sofferenza e crearsi una propria dimensione (magari trovando conforto nelle community online), nell'epoca in cui le grandi narrazioni rivoluzionarie sembrano finite e i grandi progetti di trasformazione sociale sembrano essere esclusi a priori. I rapporti con gli altri sono sempre, in una certa misura, rapporti di forza.

(va considerato anche che il trattamento della condizione può prevedere farmaci e terapia individuale, oppure esercizi di gruppo mirati al reinserimento sociale, ma in nessun caso sembra contemplare un intervento di tipo strutturale)

Non tutti possono permettersi di evitare il confronto. I fattori materiali che rendono possibile l'isolamento sono quelli menzionati sopra: poter contare sul supporto economico della famiglia, avere qualcuno che provvede al cibo, avere una stanza privata a disposizione, avere i soldi per comprare libri e fumetti, potersi svegliare e addormentare quando si vuole (arrivando ad invertire il ritmo sonno/veglia), avere a disposizione un computer con connessione a banda larga, ecc... Come per l'introverso junghiano, anche per lo hikikomori la vita interiore è organizzata dall'assetto sociale. Il ritirato si trova in una condizione paradossale: è un privilegiato tra gli sconfitti. Perché come potrebbe mai verificarsi un fenomeno del genere in una condizione in cui si vive in tanti nello stesso appartamento, in cui non si ha una stanza privata ma al massimo un letto o un divano, in cui si è costretti ad uscire di casa e a trovarsi un lavoro per sopravvivere?

Con buona pace di Ahsan, è molto improbabile che gli hikikomori abbiano un qualche potenziale sovversivo. Il loro è uno stile di vita parassitario, che si regge sul fatto di essere mantenuti dai genitori, impossibile da perpetuare dopo la morte di questi ultimi in assenza di una qualche forma di assistenzialismo (o di un reddito di base incondizionato). Difficile organizzarsi, fare gruppo, quando non si è consapevoli delle radici strutturali del proprio disagio, quando i contatti con gli altri sono assenti (o al più mediati da uno schermo) e diventa un problema anche incontrarsi di persona.

(C'è anche la tendenza, invero piuttosto discutibile, ad utilizzare il termine hikikomori per descrivere casi di isolamento nelle società occidentali dovuti a bullismo o condizione lavorativa precaria, dando al fenomeno una connotazione internazionale [2]. Sarebbe meglio invece concentrarsi sulle differenze culturali in termini di assetto famigliare, sistema di istruzione, norme comportamentali, conformismo...)

Anti-manifesto

Introfada racconta tutta una serie di menzogne sull'introversione.

La narrazione di Ahsan è la narrazione tipica dei deboli, degli oppressi: è incentrata sul risentimento verso un cattivo, su un nemico da abbattere (gli estroversi e il loro suprematismo). Un nemico che, forse, non sa neanche della loro esistenza. Viene fatta passare per scelta volontaria quello che in realtà è il risultato di un'esclusione forzata dagli eventi.

L'atteggiamento introverso non è l'opposto speculare di quello estroverso. L'estroverso non ha il problema di doversi accettare per come è fatto, non deve gestire scompensi nei confronti di un'alterità dominante. Risulta pertanto illusorio cullarsi nell'idea che esistano unità e solidarietà tra gli introversi di tutto il mondo. In realtà è più probabile che, qualora due introversi entrino in contatto tra loro, tendano ad attaccarsi a vicenda proiettandosi addosso la propria Ombra, nel tentativo latente di assecondare i modelli dominanti di integrazione (qui sì che l'analisi junghiana torna utile!).

E' molto dubbio il fatto che, nella fase attuale del capitalismo, il soggetto introverso risulti una figura scomoda o controcorrente. Oggi c'è tutto un mercato per i solitari e per i timidi, dall'industria del libro a quella dei videogiochi, dalle serie in streaming alle piattaforme come OnlyFans (dove si paga per simulare una relazione impossibile da ottenere nella vita reale, in cambio di video e spettacoli personalizzati). Come fa notare anche lo stesso Ahsan, la cultura terapeutica è riuscita a fare entrare la solitudine e la timidezza nel proprio modello di business, reinterpretandole come fatti individuali. A partire dalla terza edizione del DSM (il principale manuale dei disturbi psichiatrici) la timidezza comincia ad essere classificata come fobia sociale.

Si tende inoltre a dare un po' troppo per scontate le equazioni introversione=profondità ed estroversione=frivolezza. A nessuno viene mai il dubbio che si tratti in realtà di una forma autoconsolatoria di sovracompensazione atta a malcelare invidia e frustrazione (come nella storia della volpe e dell'uva). Fattori come il non prendere parte agli eventi, rimanere incentrati sul proprio ombelico, crearsi il proprio angolino, il proprio anti-mondo (per rendere sopportabile l'oppressione) si rivelano spesso un ostacolo per comprendere la realtà che si ha attorno. Certe dinamiche relazionali, certi atteggiamenti, certi codici, li capisce meglio un membro del Trendy Club (come lo chiama Ahsan) rispetto a qualsiasi pensatore da cameretta che vive di schemini e astrazioni. Gli autori più estremi che hanno fatto la storia della filosofia nel secolo scorso (come i post-strutturalisti) non erano persone particolarmente timide o solitarie. Libri, fumetti e videogiochi non rendono necessariamente una persona più profonda rispetto a frequentare locali o eventi di gruppo. Ci sono tanti modi per studiare e per capire.

È impossibile non notare poi come tutti i militanti introversi che appaiono in Introfada siano tutti introversi allo stesso modo: tutti sensibili, intelligenti ma incompresi, anticonformisti, amano le passeggiate nei boschi, l'arte, la contemplazione. Tutti impegnati a auto-incasellarsi nella propria categoria di riferimento, a far vedere che il discorso regge. Mai uno che dica o pensi per sbaglio qualcosa come "in realtà a me a volte piace anche uscire la sera, andare nei locali, ai concerti o alle manifestazioni, ho anche amici estroversi con cui c'è una buona intesa, in realtà gli estroversi non sono tutti necessariamente dei mostri o degli imbecilli...".

Come superare allora la tipizzazione junghiana e sbarazzarsi di questo dualismo limitante?

Non si tratta di dichiarare una guerra immaginaria agli estroversi (combattuta con armi irrisorie, inadeguate ed inefficaci) che porterebbe inesorabilmente alla sconfitta. Non si tratta neanche di rigettare in toto le pratiche associate comunemente all'estroversione. Si tratta più di smontarle e riaggiustarle, di scorporarle dall'industria del divertimento e della socialità imposta. Ad esempio, rielaborare a proprio modo le esperienze della danza, dell'ebrezza e dell'allucinazione, piegarle ai propri ritmi e al proprio immaginario, scoprire la poesia anche nelle luci al neon. Riscoprire nell'attività sportiva (camminata, corsa o bicicletta) l'esplorazione del territorio a diverse velocità, la singolarità e l'intensità nella fatica. Si tratta di non pensarsi come qualcuno definito come alterità rispetto a qualcun altro, ma di ridefinirsi senza l'altro, levandosi così il suo peso di dosso. Un po' come quando la storia di Joker viene riscritta senza Batman e finalmente il personaggio comincia a brillare.

Quando Jung usa la metafora della scarpa è convinto di liberare le persone dall'idea che esista un unico stile di vita adatto a tutti. In realtà non fa altro che ridurre le loro possibilità all'intervallo esistente tra gli estremi della sua tipizzazione.

Non si tratta tanto di trovare la scarpa giusta, ma di craftarsi su misura il proprio sandalo o mocassino.

O magari, chissà, di andare in giro scalzi...


Note

1) Il test di personalità MBTI è basato su una forma evoluta della tipizzazione junghiana. E' usato nel mondo del coaching e per inquadrare possibili sbocchi professionali.

2) E' il caso dell'associazione Hikikomori Italia di Marco Crepaldi.


Bibliografia

Introfada - Hamja Ahsan - 2019 - Add Editore

Tipi psicologici - Carl Gustav Jung - 1993 - Newton Compton Editore

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